FASE 2: SPRINT DI NEGOZI ONLINE - marketing telefonico

Al via la decima edizione del Giro d’Italia delle donne che fanno impresa 32mila imprese femminili in più in tre anni Roma sfiora quota 100mila

Quasi 32mila imprese femminili in più in tre anni, con Roma leader per presenza di donne d’impresa. Questi alcuni degli spunti che emergono dalla fotografia, scattata dall’Osservatorio dell’imprenditorialità femminile di Unioncamere-InfoCamere, sulla base dei dati al 30 settembre scorso, confrontati con lo stesso periodo del 2014. L’analisi fa da sfondo alla decima edizione del Giro d’Italia delle donne che fanno impresa, l’iniziativa organizzata da Unioncamere insieme ai Comitati per l’imprenditorialità femminile delle Camere di commercio. Obiettivo dell’iniziativa: informare le imprenditrici e offrire strumenti formativi a chi aspira a diventarlo, dare visibilità alle dinamiche che riguardano l’occupazione femminile e creare consenso sul tema delle pari opportunità. I dati del Registro delle imprese mostrano una presenza cospicua e crescente delle donne nel nostro sistema produttivo. A fine settembre scorso, hanno sfiorato un milione e 330mila unità, aumentando non solo di numero (quasi 32mila in più), ma facendo crescere anche l’incidenza sul totale: dal 21,45% del settembre 2014 al 21,83% della più recente rilevazione. Più del 40% del saldo del triennio proviene dalle imprese femminili del Mezzogiorno (poco meno di 14mila in più). Nelle regioni del Centro, le donne d’impresa sono aumentate di oltre 8.800 unità, nel Nord Ovest di più di 5mila e nel Nord Est di oltre 4mila. E’ proprio in quest’ultima area, però, che l’incidenza sul totale delle imprese è cresciuta maggiormente, portandosi a fine settembre scorso al 20,11% a fronte del 19,55% di tre anni fa. Ad aumentare di più sono le imprese femminili di Roma (+6.213), Napoli (+4.015) e Milano (+3.934). In termini di numerosità, le aree metropolitane di Roma e Milano occupano a settembre 2017 i primi posti nella graduatoria. In termini di incidenza sul totale delle imprese sono invece le province del Mezzogiorno ad aggiudicarsi le posizioni di vertice. A contendersi il primo posto sono Benevento e Avellino, dove le donne d’impresa rappresentano oltre il 30% del totale delle imprese provinciali. A seguire, Chieti e Campobasso, con più del 28% di imprese femminili. Osservando la presenza delle donne dal punto di vista settoriale, emerge la chiara inclinazione verso alcuni ambiti. Tra questi, le altre attività di servizi, che includono i servizi per la persona (tra cui attività di lavanderia, parrucchiere, istituti di bellezza ecc.), dove oltre 50 imprese su 100 sono capitanate da donne (più di 121mila in valori assoluti, +5.885 rispetto a settembre 2014). Ben 18 regioni su 20 vedono questo aggregato conquistare il primo posto per incidenza di imprese femminili, prima tra tutte la Valle d’Aosta, dove quasi il 66% delle imprese del settore ha una donna al comando. Fanno eccezione solo la Campania, in cui il settore a maggior densità di donne d’impresa è l’agricoltura, con un tasso di femminilizzazione del 36,36%, e la Sicilia, dove la quota più consistente di imprese femminili sul totale si concentra nella Sanità e assistenza sociale (40,31%). Proprio quest’ultimo ambito, in aumento di 1.339 unità rispetto a tre anni fa, occupa la seconda posizione per incidenza di imprese guidate da donne sul totale. Oltre 15mila le attività a trazione femminile in questo comparto che comprende servizi per anziani, asili nido, centri di medicina estetica, con un tasso di femminilizzazione superiore al 37%. I più elevati tassi di femminilizzazione di questo settore si registrano in Sardegna (51%) e in Umbria (48%). Terzo ambito per presenza femminile è l’istruzione: quasi 8.900 le attività guidate da donne, +786 rispetto a tre anni fa, pari al 29,82% del totale delle imprese al 30 settembre 2017. Puglia e Campania sono le regioni in cui le imprese femminili fanno sentire maggiormente la propria presenza in questo ambito, rappresentando oltre il 35% del totale. Altro settore ad alta partecipazione di donne d’impresa è il turismo, in cui le imprenditrici sono aumentate di quasi 10mila unità in tre anni. In ben 11 regioni (Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria e Valle d’Aosta), le imprese femminili del settore alloggio e ristorazione rappresentano almeno il 30% delle attività presenti nei diversi territori. Un ruolo importante, infine, le donne imprenditrici lo svolgono nel settore Noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese, dove le imprese femminili sono aumentate di 4.568 unità dal 2014. In questo ambito mediamente le donne d’impresa rappresentano più di un quarto del totale, ma in 4 regioni (Abruzzo, Liguria, Piemonte, Sardegna), le attività guidate da donne superano il 30% del tessuto produttivo locale.

 

(fonte: Unioncamere)

I giovani tornano alla terra: 57mila le imprese under 35 nel settore agroalimentare, +6,8% rispetto al 2016

La terra, i suoi prodotti ed i manufatti simbolo della dieta Mediterranea ai giovani piacciono sempre di più. A dimostrarlo sono i dati di Unioncamere-InfoCamere. Secondo l’analisi effettuata dall’istituzione guidata da Ivan Lo Bello, sono poco meno di 57mila le imprese agricole e dell’industria alimentare guidate da under 35 a fine giugno 2017, il 6,8% in più dell’anno precedente. La loro diffusione è tanto più significativa considerando l’andamento complessivo del settore che, pur rallentando in maniera sensibile la sua riduzione rispetto agli anni passati, continua comunque a perdere qualche tassello (sono 812.834 le imprese agroalimentari totali registrate alla fine di giugno scorso, 2.481 in meno del giugno 2016). Grazie a questo loro “ritorno alla terra”, l’impresa giovanile agroalimentare aumenta la sua incidenza sul totale, arrivando a rappresentare il 7% del sistema produttivo impegnato in questo settore. Il Mezzogiorno, con la Sicilia al primo posto, è l’area del paese in cui i giovani imprenditori agroalimentari fanno sentire di più la propria presenza: più di 30mila quelli registrati a fine giugno scorso, l’8,1% del totale delle imprese del settore. L’esercito di questi giovani che hanno investito nel settore primario e nell’industria ad esso correlata nelle regioni meridionali è aumentato in un anno dell’8,6%. A contendersi le prime 10 posizioni della classifica delle province a maggior presenza di giovani imprenditori agroalimentari sono 8 realtà meridionali e due piemontesi. Sul podio, Bari, Salerno e Foggia, seguite da Nuoro. Al quinto posto Cuneo, che batte di un soffio Catania. Quindi, Cosenza, Sassari, Torino e Potenza. Sul fronte opposto della classifica per numerosità di imprese under 35 del settore agroalimentare, Trieste, Gorizia, Prato, Rimini, Monza e Brianza, Lodi e Verbano Cusio Ossola, tutte realtà in cui queste attività non raggiungono il centinaio. Nuoro, Crotone, Massa Carrara, seguite da Belluno, Verbano Cusio Ossola e Sondrio sono invece le province in cui le imprese under 35 “pesano” di più sul totale delle attività del settore. A Nuoro i giovani rappresentano addirittura il 16,5% degli imprenditori agroalimentari della provincia, a Crotone il 12,9%, a Massa Carrara il 12,7%. Poco rappresentata la componente giovanile nel settore agroalimentare, invece, a Rimini, Ravenna e Ferrara, dove le imprese giovanili non raggiungono il 3% del totale dell’impresa agroalimentare locale. E’ Sassari, infine, la regina della crescita delle aziende agroalimentare di under 35. Le 1.150 imprese giovanili del settore registrate a fine giugno sono oltre il 50% in più di un anno fa. Variazioni dello stock quasi altrettanto elevate si presentano anche a Nuoro ed Oristano. Ben 35, al contrario, le province in cui il confronto con lo scorso anno mostra un saldo negativo di imprese giovanili agroalimentari, compreso tra il -13,5% di Monza e Brianza e il -0,1% di Agrigento.

 

(fonte: Unioncamere)

Cyber security: crescono gli ‘specialisti’ anti-hacker

Dal 2011 ‘balzo’ per imprese (+37%), addetti (+60%) e fatturato (+20%)

 

La crescita mondiale del Cybercrime produce ogni giorno danni sempre più gravi agli scambi commerciali e alle istituzioni pubbliche e il sistema delle imprese italiane corre ai ripari. Sebbene la percezione dei rischi legati ai crimini informatici nel nostro Paese sia ancora molto bassa, negli ultimi anni si è assistito ad una significativa crescita nel numero di imprese che offrono strumenti e servizi per combattere questa nuova minaccia. Secondo un’elaborazione Unioncamere-InfoCamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio, tra il 2011 e la metà del 2017 le imprese italiane che dichiarano di offrire servizi nel campo della sicurezza informatica o della cyber-security sono aumentate del 36,8%, passando da 505 a 691 unità. A questo ‘balzo’ nel numero degli operatori ha fatto eco un aumento quasi doppio nel numero degli addetti, passati nello stesso periodo da 3.504 a 5.609 unità. In termini relativi, parliamo di una crescita del 60% nei cinque anni e mezzo analizzati, cui corrisponde una media di 16 addetti per azienda al 30 giugno di quest’anno.  “Una progressione che, seppure di piccole dimensioni in termini assoluti – commenta il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello – segnala una certa vivacità in un comparto sempre più strategico per lo sviluppo sano delle nostre imprese. Un comparto potenzialmente, in grado di offrire opportunità di occupazione qualificata ai giovani nel breve-medio periodo. Oltre la metà delle imprese esistenti a fine settembre scorso (368) è nata dopo il 2011 e, pertanto, ha un’età media di 3,7 anni”. La concentrazione più elevata di “custodi digitali” si registra nel Lazio, dove al 30 settembre scorso avevano sede 166 imprese (il 24% del totale) e sempre il Lazio si aggiudica la fetta più consistente della crescita assoluta del periodo (48 imprese in più tra 2011 e settembre 2017, il 26% dell’intero saldo nazionale). A seguire in entrambe le classifiche c’è la Lombardia (con 121 imprese residenti alla fine di settembre e un aumento di 39 aziende dal 2011). A seguire Campania, Sicilia e Veneto si segnalano come le regioni più sensibili al tema della sicurezza informatica e del contrasto professionale al cyber-crime. Sul fronte degli addetti, le imprese che hanno creato più opportunità di lavoro sono localizzate in Veneto, Lombardia e Lazio che, con i loro 3.650 addetti, rappresentano il 65% di tutto il settore. Spicca, in questa classifica, il quarto posto del Trentino – Alto Adige che con 525 addetti fa segnare il 9,4% del totale. Dal punto di vista delle performance finanziarie, analizzando i bilanci delle 218 imprese del comparto costituite nella forma di società di capitale e che hanno presentato il bilancio negli ultimi tre anni (il 38% del totale), nel 2016 il valore della produzione è stato di oltre 430 milioni di euro, in crescita del 19,7% rispetto a quello realizzato dalle stesse imprese nel 2014. In media, ciò equivale ad un valore della produzione di circa 2 milioni di euro pro-capite per le aziende della cyber-security tricolore, con il 30,8% del totale (133 milioni) concentrato nelle imprese del Veneto. Solo secondo il Lazio con circa 82 milioni, mentre la terza regione, molto distaccata, è l’Emilia –Romagna (47 milioni).

 

(fonte: Unioncamere)

Chiusura estiva 2017

Gentili Utenti,

vi informiamo che i nostri uffici saranno chiusi dal giorno 04 Agosto alle ore 13,00 fino al giorno 27 Agosto. I servizi riprenderanno regolarmente il giorno 28 Agosto.
Per ogni vostra esigenza potete contattarci all’indirizzo email info@italiacommerciale.it o tramite fax al numero 0572/901863. Ogni richiesta sarà presa in carico alla riapertura degli uffici.

Cogliamo l’occasione per augurarvi Buone Ferie!

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Valutazione accesso a finanziamenti agevolati

Nuovi voucher: cosa sono e come funzionano? Ecco le novità della manovra 2017

È l’emendamento firmato Di Salvo a disciplinare l’utilizzo dei nuovi voucher, che si sono trasformati in “Libretti Familiari” e “Contratti di Prestazione Occasionale”.  I nuovi voucher prevedono un limite massimo annuo di € 5.000,00 per ogni lavoratore, di cui non più di € 2.500 percepiti dallo stesso datore di lavoro, che, a sua volta, non potrà superare il limite di € 5.000,00 annui per l’erogazione degli stessi. La misura minima del compenso orario non potrà essere inferiore ad € 9,00, per un massimo di 4 ore consecutive lavorate per il medesimo datore di lavoro. Nel calcolo del limite massimo di € 5.000,00 per ogni datore di lavoro, sono da considerarsi al 75% le prestazioni effettuate da soggetti che percepiscono pensione di vecchiaia o invalidità, disoccupati, giovani fino a 25 anni iscritti ad un ciclo di studi, e chiunque percepisca integrazioni del salario o sostegno al reddito.

Il libretto familiare può essere utilizzato per i lavoretti domestici, quindi per prestazioni di colf, badanti, baby sitter, insegnanti di ripetizione, ecc. Ogni titolo di pagamento del libretto famiglia ha un valore di € 10,00 a cui vanno sommati € 2,00 per contributi e assicurazione, dato che il lavoratore che usufruisce del libretto familiare ha diritto all’associazione contro la vecchiaia, l’invalidità e superstiti, tramite l’iscrizione alla gestione separata, e all’associazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, al riposo giornaliero, pause e riposi settimanali. I compensi percepiti con il libretto non variano lo stato di disoccupazione, ma concorrono alla determinazione del reddito necessaria per il rinnovo del permesso di soggiorno. Tramite il libretto familiare è inoltre possibile usufruire del bonus erogato con la riforma Fornero per pagare servizi di baby-sitting e asili nido pubblici o privati accreditati.

Il nuovo contratto di prestazione occasionale può essere invece utilizzato dalle micro imprese fino a 5 dipendenti, ad esclusione di quelle del settore agricolo (a meno che non si tratti di prestazioni effettuate da titolari di pensione di vecchiaia o invalidità), giovani fino a 25 anni iscritti ad un ciclo di studi, e chi percepisce integrazioni del salario o sostegno del reddito. Sono escluse dal contratto di collaborazione occasionale anche le imprese edili e tutte quelle coinvolte nell’esecuzione di appalti di opere o servizi. La retribuzione oraria minima è di € 9,00, ad eccezione delle imprese agricole dove il compenso minimo orario corrisponde a quello individuato dal contratto collettivo. Sono a carico del datore di lavoro la contribuzione alla gestione separata e il premio dell’associazione contro infortuni e malattie, rispettivamente pari al 33% e 3,5%. Il compenso non potrà essere inferiore ad € 36,00 per prestazioni di durata non superiore a 4 ore continuative. Nel caso di contratto di collaborazione occasionale, il datore di lavoro deve comunicare all’inps almeno un’ora prima l’inizio della prestazione. In casi di mancata comunicazione è prevista una sanzione amministrativa da € 500,00 ad € 2.500,00. Nel caso in cui la prestazione comunicata non avesse luogo, vi sono invece 3 giorni di tempo per effettuare la relativa comunicazione. Si precisa che l’imprenditore agricolo non potrà usufruire di una singola prestazione per più di tre giorni. Nel caso in cui il datore di lavoro, eccezion fatta per la pubblica amministrazione, superi il limite massimo di cinquemila euro o il limite del monte ore, il rapporto si trasforma in un tempo pieno e indeterminato.

Le pubbliche amministrazioni possono ricorrere al contratto di collaborazione occasionale per progetti rivolti a specifiche categorie di soggetti (in stato di povertà, disabilità, detenzione, tossicodipendenza, ecc.) per lo svolgimento di attività legate a stati di calamità o eventi naturali improvvisi, per attività di solidarietà, manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli.

All’interno dell’emendamento si sancisce, inoltre, che non possono essere acquisite prestazioni di lavoro occasionali da soggetti con cui il datore di lavoro ha o ha avuto da meno di sei mesi un rapporto subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa.

                                                                                  Fonte: web

Fermo amministrativo del veicolo: come provvedere alla cancellazione

Il fermo amministrativo è un atto coattivo attraverso il quale le amministrazioni possono procedere al fermo del veicolo in caso di mancato pagamento di una cartella esattoriale. Il fermo dell’autoveicolo si rende possibile dopo l’iscrizione da parte dell’ente di riscossione al PRA (Pubblico Registro Automobilistico) e consiste in una limitazione temporanea dell’utilizzo del veicolo, fino a quando non verrà saldato il debito. Il veicolo non potrà quindi circolare, ma non potrà essere radiato dal Pubblico Registro (non potrà quindi essere demolito od esportato). Nel caso in cui il debitore non onori il proprio debito, il veicolo potrà essere messo in vendita.

Dopo aver provveduto al pagamento del proprio debito, si potrà procedere alla cancellazione del fermo. Sarà necessario recarsi presso un qualsiasi ufficio provinciale del PRA con la copia originale del Provvedimento di Revoca, dopo aver effettuato il saldo, unitamente al certificato di proprietà del veicolo. Dopo aver effettuato il pagamento per la pratica di cancellazione e a seguito dell’esito positivo della richiesta, il fermo amministrativo sarà cancellato e verrà rilasciato un nuovo certificato di proprietà digitale. Nel caso in cui il fermo amministrativo sia stato erroneamente iscritto al PRA, l’ente di riscossione provvederà in modo gratuito alla cancellazione. Nel caso in cui il veicolo interessato da fermo amministrativo sia stato venduto prima della trascrizione del fermo al PRA, questo verrà gratuitamente cancellato e l’auto non sarà soggetta ad alcuna limitazione di circolazione.

_ACITARGA__20150324110541492_001Nell’esempio sopra, è riportata una sezione della Visura PRA nella quale compare un provvedimento di fermo amministrativo.

Vuoi verificare la presenza di eventuali fermi amministrativi con una Visura PRA? Acquista qui il tuo documento. La visura sarà evasa in 30 minuti ed inviata alla tua casella di posta elettronica.

Entrate e AgID inaugurano @e.bollo con InfoCamere La marca da bollo per i documenti richiesti alla PA si acquista online

La marca da bollo per i documenti rilasciati dalle pubbliche amministrazioni entra nell’era digitale: i cittadini potranno pagarla direttamente online, con addebito in conto, carta di debito o prepagata attraverso i servizi di pagamento del Sistema pagoPA. E’ infatti operativo il servizio @e.bollo, sviluppato dall’Agenzia delle Entrate con la collaborazione dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), che consente tramite il Sistema pagoPA di versare l’imposta di bollo con modalità telematiche sulle richieste trasmesse alle PA e relativi atti. Il primo Prestatore di Servizi di Pagamento (PSP) abilitato è l’Istituto di Pagamento del sistema camerale (www.iconto.infocamere.it) tramite cui, con addebito diretto per i titolari di conto corrente dell’Istituto di InfoCamere (e a seguire anche con carta di credito anche per i non correntisti), è possibile acquistare con pochi click la marca da bollo digitale. La prima marca da bollo digitale è stata acquistata a Rovigo e applicata all’istanza inviata da un’impresa del settore agroalimentare allo Sportello Unico per le Attività Produttive del Comune di Treviso, gestito attraverso la piattaforma del sistema camerale italiano www.impresainungiorno.gov.it.

Il nuovo servizio @e.bollo è disponibile in sperimentazione per alcuni comuni della Lombardia (Legnano, Monza, Pavia, Rho e Voghera) e del Veneto (Treviso e Vicenza). Successivamente il servizio verrà esteso ai 750 comuni – tra gli oltre 3400 che si avvalgono della piattaforma – accreditati al servizio pagoPA. Il servizio riguarderà progressivamente altre amministrazioni e coinvolgerà presto altri istituti che potranno erogare servizi di pagamento ai propri clienti.

Conclusa la fase pilota, che ha visto Entrate e AgID lavorare in sinergia per trovare le soluzioni tecniche più idonee, nel rispetto della normativa tributaria, la marca da bollo digitale è una realtà che punta a semplificare e a velocizzare le procedure a vantaggio dei cittadini e delle imprese che si interfacciano con la pubblica amministrazione. La novità elimina infatti uno dei principali vincoli alla completa dematerializzazione di documenti e procedure, portando definitivamente sul pc dei cittadini anche i servizi che prevedono il pagamento del bollo. L’acquisto della marca da bollo digitale sarà possibile, tramite gli strumenti messi a disposizione dai PSP (addebito in conto, carta di debito, prepagata e carta di credito), attraverso i servizi presenti su pagoPA raggiungibili esclusivamente dai siti internet delle pubbliche amministrazioni che offrono servizi per il rilascio dei documenti elettronici e che hanno aderito al sistema pagoPA dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Successivamente, saranno attivate anche le procedure di pagamento della marca da bollo digitale direttamente presso gli intermediari abilitati, per le richieste e per i relativi atti scambiati via posta elettronica tra cittadini e amministrazioni.

Per acquistare online la marca da bollo digitale, i cittadini potranno scegliere il PSP tra coloro che hanno aderito al sistema pagoPA e hanno stipulato un’apposita convenzione con l’Agenzia delle Entrate. L’elenco dei PSP, insieme alle altre informazioni utili, è disponibile sul sito internet delle Entrate, nella pagina dedicata al servizio (Home – Documentazione – Servizio @e.bollo). Le linee guida per le pubbliche amministrazioni e per i prestatori di servizi di pagamento sono disponibili anche sul sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), unitamente alle specifiche attuative per gestire sul sistema pagoPA l’acquisto del bollo digitale (home – agenda digitale – pubblica amministrazione – pagamenti elettronici – linee guida).

(fonte: InfoCamere)

Il Professionista Delegato

Fra le novità introdotte dall’articolo 591 bis c.p.c. troviamo la possibilità, da parte del Giudice delle Esecuzioni, di delegare la vendita oggetto di esecuzione, ad un professionista (notaio, avvocato, commercialista), avente preferibilmente sede nel circondario in cui è ubicato il bene. Ogni triennio i presidenti del Consiglio dell’ordine dei Notai, degli Avvocati e del Consiglio dell’ordine dei Dottori Commercialisti e Esperti Contabili comunicano al presidente del Tribunale gli elenchi dei professionisti che si sono dichiarati disponibili a ricevere le deleghe. La nomina del professionista delegato permette di velocizzare la procedura di vendita e quindi di recupero del credito da parte dei creditori. Condizione per ricevere la delega è che il professionista abbia dichiarato al proprio Organo professionale la disponibilità a svolgere le operazioni di vendita dei beni immobili.

Il professionista delegato, dopo essere stato nominato dal Giudice, deve primariamente reperire in Cancelleria del Tribunale il fascicolo d’ufficio del procedimento, e prelevarne tutti gli atti, compresa la CTU – Consulenza Tecnica d’Ufficio. Tramite questa relazione, il Professionista può valutare se la relazione di stima contiene adeguate informazioni circa la descrizione dell’immobile e in riferimento ai dati catastali. Il delegato ha inoltre la facoltà di effettuare un sopralluogo e di decidere di assegnare il bene ad un custode che si occupi delle visite dell’immobile. Compito del professionista è anche quello di accertarsi dello stato di possesso dell’immobile. Servendosi della CTU, il professionista delegato determina il prezzo base d’asta, variandolo nel caso in cui le aste vadano deserte. Il professionista delegato, seguendo le indicazioni del Giudice, si occupa inoltre della pubblicità dell’avviso di vendita, all’interno del quale il delegato riporta tutti i dati essenziali dell’asta e le modalità con cui è possibile partecipare.

PAROLE CHIAVE

CTU

La CTU, o Consulenza Tecnica d’Ufficio, viene redatta solitamente da un architetto il quale svolge la funzione di Ausiliario del Giudice. All’interno di una CTU troviamo i dati catastali dell’immobile (cioè i dati che identificano l’immobile al catasto), il titolo di proprietà, le pertinenze ovvero altri beni immobili che sono a servitù dell’immobile come ad esempio cantine, posti auto, box. Contiene, infine, la descrizione dettagliata del bene.

CUSTODE

Figura nominata dal Giudice dell’Esecuzione che si occupa di amministrare e conservare i beni pignorati o sequestrati, svolgendo le sue mansioni in maniera diligente e responsabile, proprio come farebbe un “buon padre di famiglia”. Tra i suoi adempimenti, ci sono quelli di visitare periodicamente l’immobile per costatarne lo stato o l’uso, accompagnare gli interessati all’acquisto alla visita dello stesso, documentare le entrate e le spese relative alla sua gestione, ecc.

AVVISO DI VENDITA

Relazione emessa dal Giudice all’interno della quale vengono sintetizzate le informazioni relative alla vendita giudiziaria. Nello specifico sono indicate: la data e il luogo dell’incanto, la descrizione dell’immobile (la natura del compendio, l’indirizzo in cui si trova, i dati di identificazione catastale, il valore), il prezzo base della vendita ed il rilancio minimo, le modalità di presentazione delle offerte e le condizioni per l’aggiudicazione definitiva del bene.

Tipologie di vendita immobiliare

ESECUZIONE IMMOBILIARE

Procedura promossa, avanti al Giudice dell’esecuzione del Tribunale del circondario in cui è situato l’immobile, dal creditore munito di titolo esecutivo, che ha eseguito il pignoramento dei beni immobili di proprietà del debitore esecutato. Entro novanta giorni dalla notifica del pignoramento al debitore, il creditore procedente deve presentare in Cancelleria l’istanza di vendita dell’immobile pignorato e la relativa documentazione ipotecaria e catastale.

FALLIMENTO

Il fallimento è un processo espropriativo speciale il cui fine è quello di ripartire il patrimonio di un imprenditore commerciale in stato d’insolvenza tra tutti i suoi creditori e a parità di condizioni. Si tratta di un processo di natura sostanzialmente esecutiva, ma speciale poiché è attuato solo nei riguardi di particolari soggetti (gli imprenditori e le società commerciali) ed in presenza di specifiche condizioni previste dalla legge fallimentare. Nonostante esistano già norme sul processo esecutivo, in realtà queste non tutelano sufficientemente tutti i creditori, dato che sono messi in grado di partecipare alla vendita giudiziaria solo quelli che in qualche modo, magari fortunoso, ne hanno avuto notizia. Nella procedura fallimentare, invece, si cerca di far partecipare al processo tutti i creditori, essendo compito del Curatore avvisare a mezzo posta elettronica certificata i vari creditori del processo espropriativo.

CONCORDATO PREVENTIVO

Il concordato preventivo è uno strumento che la legge mette a disposizione dell’imprenditore, in crisi o in stato di insolvenza, per evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale delle ragioni creditorie. Si chiama “preventivo”, appunto, per questa sua principale funzione di prevenire la più grave procedura fallimentare che potrebbe seguire ad uno stato di dissesto finanziario. Il concordato preventivo è regolato dalla Legge Fallimentare (ossia dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942) che negli ultimi anni ha subito una serie di interventi da parte del legislatore che hanno in qualche modo “ristrutturato” l’istituto con l’obiettivo di favorire il risanamento e soprattutto la prosecuzione dell’attività di impresa. Lo scopo del concordato preventivo non è solo quello di tutelare l’imprenditore in difficoltà, ma anche i creditori. Infatti, se da un lato il debitore con l’accesso alla procedura può paralizzare ogni possibile azione esecutiva nei suoi confronti e mantenere l’amministrazione dell’impresa, sia pure con determinati limiti, i creditori, dal canto loro, possono evitate l’attesa dei tempi lunghi necessari per portare avanti la più complessa procedura fallimentare e conseguire, così, in tempi relativamente brevi il soddisfacimento quantomeno parziale del proprio credito. Al di là degli interessi dei soggetti direttamente coinvolti nel procedimento non si può negare che il concordato preventivo soddisfi anche il più ampio e generale interesse della società al mantenimento dell’operatività delle imprese e dei livelli occupazionali.

GIUDIZIO DI DIVISIONE

Il giudizio di divisione è a tutti gli effetti un giudizio di cognizione vero e proprio. Si svolge nelle forme del rito ordinario innanzi al giudice dell’esecuzione, ed è finalizzato a far cessare lo stato di comunione. Prevede la partecipazione del creditore pignorante e di tutti i condividenti.

Con la sua instaurazione, si sospende il processo esecutivo, che sarà poi ripreso dal creditore procedente mediante ricorso da presentarsi entro il termine perentorio stabilito dal giudice nel provvedimento con cui ha disposto la sospensione o, comunque, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado oppure dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’opposizione.

Regolarmente, salvo il caso di contestazioni, domande od eccezioni, il giudizio di divisione si conclude con la pronuncia di un’ordinanza con la quale può essere disposta una fra le tre differenti modalità di realizzazione dello scioglimento della comunione: a) assegnazione dell’intero bene al comproprietario che lo richiede (dietro versamento del prezzo di stima); b) la vendita dell’intero bene; c) l’attribuzione di porzioni concrete del bene a ciascun comproprietario (dietro eventuali versamenti di conguagli).
Non sempre la divisione è possibile. Ciò non avviene quando, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non è possibile realizzare porzioni in grado di: formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive; non richiedere opere complesse o di notevole costo; non risultare sotto l’aspetto economico-funzionale sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero.

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Aste immobiliari: vendita con incanto, vendita senza incanto

Tutti coloro che si approcciano al mondo delle aste immobiliari troveranno sovente la dicitura “…si procederà alla vendita con incanto/vendita senza incanto…”. Ma a cosa si riferisce esattamente? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Con la legge n. 263/2005, unitamente alla Legge n. 52/2006, è stato stabilito che la modalità da utilizzare in prima battuta, salvo opposizioni, è la vendita senza incanto.

Nella vendita senza incanto, così come in quella con incanto, tutti, tranne il debitore, sono ammessi a presentare offerta d’acquisto per gli immobili pignorati. Questa deve essere presentata presso gli uffici della Cancelleria delle Esecuzioni Immobiliari del Tribunale di riferimento, o, nel caso in cui si tratti di un Fallimento, presso la Cancelleria Fallimentare.  Qualora venga delegato un Professionista allo svolgimento delle mansioni che normalmente vengono svolte dal giudice delle Esecuzioni Immobiliari, le offerte dovranno allora essere presentate presso lo studio del Professionista Delegato, che, una volta delegato dal Tribunale competente, dovrà adempiere ad una serie di atti che portano alla messa in asta dei beni oggetto di esecuzione.

L’offerta dovrà essere presentata, entro 120 giorni dal termine ultimo per la presentazione delle domande, in busta chiusa e al suo interno dovrà contenere l’indicazione dell’offerta che si vuole presentare per l’immobile pignorato, la modalità e la tempistica per il pagamento. In caso di più offerte valide (ritenute tali se superiori di 1/5 rispetto al valore dell’immobile), secondo la modalità di vendita senza incanto, si procederà alla gara sulla base dell’offerta più alta presentata. Il rilancio dovrà essere quello espressamente indicato sull’ordinanza di vendita che consiste in una relazione emessa dal Giudice all’interno della quale vengono indicati gli estremi dell’immobile (natura dell’immobile, il Comune in cui si trova, i dati di identificazione catastale) il valore, il prezzo base. In caso di singola offerta d’acquisto, anche questa verrà ritenuta valida solo se superiore di 1/5 rispetto al valore dell’immobile. Nel caso in cui dovessero essere presentate offerte più basse della soglia stabilita, queste potranno essere accolte solo se troveranno il consenso dei creditori e del Giudice. In caso contrario, si procederà alla vendita con incanto.

La vendita con incanto ha valenza se le offerte sono di importo pari o superore al prezzo base stabilito, contenuto all’interno dell’ordinanza di vendita. Per avere luogo, la vendita con incanto prevede che debba essere effettuato almeno un rilancio, nella misura stabilita e riportata nell’ordinanza di vendita. Nella vendita con incanto, a differenza della vendita senza incanto, l’offerente ha la possibilità di ritirare la propria offerta d’acquisto: verrà però trattenuto 1/10 della cauzione versata. In caso invece di aggiudicazione dell’immobile pignorato, questa potrà considerarsi definitiva solo trascorsi 10 giorni dopo l’incanto: in questo lasso di tempo, gli offerenti potranno infatti effettuare una nuova offerta, a patto che sia superiore di 1/5 rispetto al prezzo di aggiudicazione raggiunto durante l’asta. Nel caso di vendita senza incanto, l’aggiudicatario diventa invece immediatamente definitivo.

Differenti sono anche le modalità di versamento del saldo prezzo: in caso di vendita con incanto, l’aggiudicatario dovrà infatti provvedere al saldo entro 60 giorni dall’aggiudicazione (70 giorni dall’incanto); in caso di vendita senza incanto, l’aggiudicatario ha un margine di 120 giorni per procedere con il versamento del saldo prezzo.