Cresce la richiesta di professioni per la gestione della pandemia

Roma, 4 dicembre 2020

Lavoro: calano ancora le entrate previste dalle imprese e la quota di imprese che programmano assunzioni ad eccezione delle professioni legate alla gestione della pandemia

Scendono a quasi 192mila gli ingressi previsti dalle imprese per il mese di dicembre con una flessione rispetto all’anno precedente che supera il 36%. È il segnale di una crescente difficoltà sul versante occupazionale per le restrizioni imposte a diverse attività economiche con lo scopo di fronteggiare la seconda ondata pandemica. Scende, infatti, anche la quota di imprese che programmano assunzioni attestandosi ora sull’8%, in calo di 2 punti percentuali rispetto a novembre e di 5 punti rispetto ad ottobre. In controtendenza (e in forte aumento), invece, la ricerca di professionisti in grado di fronteggiare la pandemia: medici, tecnici della salute, specialisti in sanificazione.
A delineare questo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, che elabora le previsioni occupazionali di dicembre.
Le restrizioni colpiscono maggiormente le imprese dei servizi turistici, alloggio e ristorazione (-56,9% le entrate programmate rispetto a dicembre 2019), dei servizi culturali (media e della comunicazione -55,2%) a cui si aggiungono le imprese del commercio (-38,6%). Sembra andare meglio per i servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio (-16%) e per i servizi legati all’ICT (-21,7%) anche per il crescente ricorso agli acquisti on line. Per l’industria, fortemente in flessione le previsioni delle imprese dei comparti lavorazione dei minerali non metalliferi (-47,8%), metallurgia e prodotti in metallo (-41,4%), della carta, cartotecnica e stampa (-35,5%). Significativo anche il calo delle entrate programmate dalle industrie meccaniche ed elettroniche (-34,7%), mentre registrano una flessione più contenuta le industrie chimiche farmaceutiche, le industrie alimentari e le industrie del legno e del mobile (rispettivamente -26,7%, -28,9% e -29,5%).
Nonostante il significativo calo degli ingressi programmati dalle imprese di tutti i settori economici, è in crescita la domanda di alcune figure professionali particolarmente legate alla salute, alla gestione della sicurezza sanitaria, alla transizione digitale e alle discipline scientifiche. In particolare, cresce la domanda di medici e tecnici della salute (rispettivamente del 3,6% e 10,5%), così come delle figure professionali specializzate nelle attività di igienizzazione e pulizia (+31,5%). In crescita anche la domanda di specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali (+16%), professioni che applicano e rendono disponibili conoscenze e competenze STEM utili a fronteggiare la crisi economica, sociale e sanitaria che ha investito il Paese.

fonte: UnionCamere

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Imprenditore lavora al computer

Nuovi corsi formativi per la digitalizzazione delle imprese

Roma, 16 novembre 2020

Unioncamere-Google: con Eccellenze in digitale 2020-2021
formazione gratuita per lavoratori e imprese

Formare gratuitamente almeno 30mila persone, tra imprenditori, dipendenti, collaboratori e tirocinanti, sulle competenze digitali di base e sull’uso di strumenti sempre più essenziali per superare la seconda ondata di una pandemia che ha colpito con forza le aziende italiane. È l’obiettivo di Eccellenze in Digitale 2020-2021, la nuova edizione del progetto di Unioncamere supportato da Google, il cui obiettivo è aiutare le imprese italiane a far crescere le competenze dei propri lavoratori. Grazie al finanziamento di 1 milione di euro da parte di Google.org, la nuova edizione del progetto prende il via da lunedì 23 con oltre 30 webinar organizzati dai Punti Impresa Digitale delle Camere di Commercio locali.
La crisi causata dal Covid-19 ha evidenziato l’importanza delle competenze digitali come una risorsa indispensabile per restare in contatto con i propri utenti e colleghi e per portare avanti la propria attività e il proprio lavoro. Recenti analisi di Unioncamere mostrano che nelle imprese italiane le competenze digitali sono richieste per 7 assunti su 10, pari a 3,2 milioni di lavoratori. Ma il 28,9% di questi profili, vale a dire circa 940 mila posizioni lavorative, è difficile da trovare per inadeguatezza o ridotto numero di candidati. Il risultato è spesso una carenza tanto più grave in un momento in cui proprio Internet può offrire strategie di visibilità e di vendita determinanti per superare i limiti imposti dall’emergenza sanitaria. Da anni, Unioncamere e le Camere di commercio investono nello sviluppo di competenze che consentano alle micro, piccole e medie imprese di rimanere aggiornate e per questo già dal 2013 hanno avviato la partnership con Google per la sensibilizzazione, istruzione e potenziamento della presenza online delle imprese, realizzando progetti di successo e di forte impatto (Distretti sul Web, Eccellenze in Digitale, Digital Training) e attivando, all’interno del Piano impresa 4.0, i Punti Impresa Digitale ormai presenti su tutto il territorio nazionale. È proprio partendo dal successo di queste esperienze che Google, come parte del suo nuovo programma di investimento Italia in Digitale (g.co/ItaliaInDigitales), ha deciso di rinnovare lo storico programma, portando l’attenzione sulla formazione dei lavoratori, sulle aree e sui settori più colpiti dalla crisi. Eccellenze in digitale 2020-21 servirà a raggiungere in particolare le aziende legate al turismo, alla ristorazione e alle filiere del made in Italy. Scopo degli incontri formativi che, partendo dalla prossima settimana, si succederanno per tutto il 2021, è aiutare da un lato le imprese a potenziare le competenze digitali dal proprio interno, dall’altro fornire ai lavoratori strumenti in grado di accrescere o trasformare le proprie abilità mantenendo o migliorando la propria situazione occupazionale. In quest’ottica, con il supporto degli oltre 150 digitalizzatori e digital promoter presenti nei PiD delle Camere di commercio, in oltre 2000 ore di formazione si affronteranno temi e strumenti divenuti fondamentali in questa fase di crisi legata al Covid-19: dalla presenza online a tutto tondo (sito, social, email), alle dinamiche di promozione, vendita e gestione del cliente e delle transazioni anche in ambito locale e di vicinato; dagli strumenti di autoformazione gratuiti a quelli di verifica delle performance dei propri canali, fino ai mezzi di gestione delle attività in remoto. Particolare attenzione verrà posta, inoltre, a temi specifici legati alle restrizioni introdotte per contrastare il diffondersi della pandemia, come la comunicazione della qualità e la sicurezza di prodotto e di servizio.
“Con la nuova ondata di coronavirus ormai diffusa su tutto il territorio, le piccole imprese vanno incontro a una sfida senza precedenti. La conoscenza del digitale e degli strumenti online può significare una nuova opportunità per affrontare la situazione presente e per prepararsi al futuro. Con questa nuova iniziativa insieme a Unioncamere, parte del più ampio impegno di Google per l’Italia, vogliamo supportare le piccole e medie imprese più colpite dalla pandemia a trovare una via d’uscita dalla crisi.”
Gianna Francescutti, Program Manager, Google.org
“La digitalizzazione delle imprese può valere da 3 a 7 punti di PIL e dare una forte accelerazione all’economia italiana. Con Eccellenze in Digitale vogliamo contribuire a colmare almeno in parte il gap di competenze digitali di lavoratori e imprese allineandole alle esigenze del mercato, fornendo strumenti utili ad affrontare questo momento tanto difficile per il nostro Paese”. Lo sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli.

fonte: UnionCamere

 

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Covid: crescono le imprese del commercio di vendita online +3.600 in 7 mesi

Roma, 09 dicembre 2020

Trentino Alto Adige al top della classifica sulla digitalizzazione delle PMI

L’effetto Covid spinge molte imprese del commercio su internet. Sono state più di 3.600 le aziende di questo settore che hanno aperto un canale di vendita online tra aprile e ottobre 2020 per operare anche in questo momento di difficoltà, facendo registrare in sette mesi una crescita del +15,5% (erano complessivamente 23.386 unità a marzo 2020 contro 27.007 ad ottobre 2020). L’emergenza pandemica ha costretto tanti imprenditori ad accelerare il loro percorso di digitalizzazione per reagire alle avversità e cercare di restare produttivi anche da remoto. Nel complesso quasi un’impresa italiana su tre si è equipaggiata tecnologicamente per le vendite e i pagamenti sul web. Dopo la prima fase di lockdown, da maggio a settembre 2020, sono aumentate di 4 punti percentuali le PMI che si sono dotate di strumenti per l’e-commerce (il 27% contro il 23% dello stesso periodo del 2019) e di +5 punti percentuali quelle che si sono equipaggiate per l’e-payment (il 36% contro il 31%). La rincorsa verso l’adozione di queste tecnologie abilitanti per la vendita online appare più veloce in particolare in Friuli Venezia Giulia (+ 27 punti percentuali), Puglia (+19 punti percentuali) e Basilicata (+ 22 punti percentuali). Ed è ancora il Friuli Venezia Giulia a smarcarsi nettamente rispetto alla media per l’e-payment (+30 punti percentuali). Mentre da marzo ad aprile 2020, anche per facilitare il ricorso allo smartworking, hanno registrato un boom l’adozione di strumenti di cloud (+11 punti percentuali) e di cybersecurity (+ 3 punti percentuali). Questa accelerazione si inserisce all’interno di un cammino di crescita continua intrapresa dalle imprese negli ultimi tre anni verso l’economia 4.0 che vede il Trentino Alto Adige a guidare la classifica nazionale per livelli di digitalizzazione più evoluti delle PMI.
È la fotografia scattata da Unioncamere attraverso l’osservatorio dei Punti Impresa Digitale (PID) delle Camere di commercio sulla base dei test sulla maturità digitale effettuati dalle imprese italiane e i dati del Registro delle imprese.
“In pochi mesi solo nel settore del commercio migliaia di imprese hanno cominciato a vendere per la prima volta su internet per fare fronte alla difficile stagione dei lockdown mentre un terzo delle PMI è già pronta tecnologicamente a farlo. Anche grazie all’attività dei nostri Pid che stanno permettendo ad una platea sempre più grande di imprese di accedere ai vantaggi del mercati online, affiancando l’e-commerce ai sistemi di vendita tradizionali. È quanto ha sottolineato il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, che ha aggiunto “nell’ultimo anno abbiamo aiutato attraverso i Pid più di 80mila imprese, con oltre 700 eventi informativi e formativi, a sfruttare i vantaggi delle tecnologie 4.0 e restare operative anche in questa fase emergenziale. In tre anni abbiamo accompagnato complessivamente già 300mila imprenditori sulla strada del digitale: 23mila hanno fatto il self assessment per scoprire il proprio livello di alfabetizzazione digitale e lavorare per colmare i gap, 130mila hanno seguito programmi di formazione e orientamento, 20mila imprese hanno sfruttato i voucher per investire sul digitale. E con il nuovo servizio appena lanciato Digital Skill voyager permetteremo alle imprese di valutare anche le competenze digitali dei propri collaboratori e avviare se necessario percorsi formativi mirati per adeguarle alle nuove sfide dell’economia 4.0”.

Cresce la maturità digitale delle PMI: più Specialisti, Esperti o Campioni digitali

In 7 mesi le restrizioni causate dal Coronavirus hanno dato in generale una forte spinta agli imprenditori ad abbracciare l’economia 4.0 per reagire alle difficoltà, elevandone il livello complessivo di maturità digitale. L’istantanea scattata dall’ 1 marzo al 30 settembre 2020, mostra infatti un aumento di 2 punti percentuali, rispetto allo stesso periodo del 2019, delle imprese che si sono classificate al test di maturità digitale “Specialiste, Esperte o Campioni”, grazie all’utilizzo più evoluto delle tecnologie abilitanti. Ma l’impennata della crescita si è registrata nei primi due mesi della prima fase del lockdown, ovvero nel periodo marzo e aprile, con un aumento medio della maturità digitale di oltre 3 punti percentuali. Più in dettaglio mettendo a fuoco i cinque livelli di misurazione della maturità digitale su una scala di punteggi che va da 0 a 4, da marzo a settembre 2020 : il 6,9% delle imprese è «Esordiente» (erano 7,2% nel 2019 e 9,6% nel 2018) – con punteggi di maturità digitale compresi tra 0 e 1 – perché legata a una gestione tradizionale dell’informazione e dei processi; il 41,9% è «Apprendista» (il 47,0% nel 2019 e il 49,8% nel 2018) – con punteggi compresi tra 1 e 2 – utilizza cioè strumenti digitali di base; il 36,6% è «Specialista» (il 33,9% nel 2019 e il 30,3 nel 2018) – con punteggi compresi tra 2 e 3 – avendo digitalizzato buona parte dei processi; il 10,7% è «Esperto» (il 8,3% nel 2019 e il 6,6% nel 2018) – con punteggi compresi tra 3 e 3,6 – applica cioè con successo i principi dell’Impresa 4.0; il 3,9% può dirsi «Campione digitale» – con punteggi superiori a 3,6 – (il 3,5% nel 2019 e il 3,6% nel 2018). Questa accelerazione verso l’uso di strumenti 4.0 da parte delle PMi si inserisce quindi all’interno di un generale percorso di crescita della digitalizzazione delle imprese avviato tre anni fa grazie alle politiche di incentivazione messe in campo dal governo e ai servizi di assistenza offerti dalla rete dei soggetti qualificati presenti sul territorio nazionale (Competence center, DIH, EDI, PID).

Il Trentino Alto Adige al top per livelli di digitalizzazione delle PMI

Ai primi di novembre 2020 il Trentino Alto Adige è in vetta alla classifica nazionale per livelli di digitalizzazione delle Pmi, avendo superato il test di maturità digitale delle imprese con un voto di 2,29 contro una media nazionale di 2,06 delle quasi 23mila in imprese che hanno effettuato il self assessment online SelfI4.0 negli ultimi tre anni. Segue la Lombardia con un punteggio di 2,21 e l’Emilia-Romagna con 2,2.

Al via il test di maturità digitale anche per i lavoratori

È online www.dskill.eu, il nuovo self assessment “Digital Skill voyager” è rivolto a tutti i lavoratori per conoscere il proprio livello di competenze digitali. Offerto gratuitamente dai PID permetterà alle imprese di conoscere anche il livello di maturità digitale dei propri collaboratori e, se del caso, avviare percorsi di formazione per elevarne le skill. Ma più in generale chiunque – lavoratori, studenti, professionisti – può avvalersi di questo strumento per misurare la propria conoscenza del mondo digitale. Il sistema è facile ed intuitivo. Ad ogni tappa vengono poste tra le 3 e le 5 domande, corrispondenti ad un’area di conoscenza specifica delle competenze digitali. Alla fine del percorso si ottiene una valutazione che consente di scoprire in quale area si è collocati: neofita digitale, allievo digitale, coach digitale oppure un digital-leader.

fonte: UnionCamere

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Quasi 900mila laureati, altrettanti diplomati e oltre 680mila persone con qualifica professionale troveranno lavoro tra il 2020 e il 2024

1,8 milioni di laureati e diplomati al lavoro entro il 2024

Roma, 11 settembre 2020

Opportunità anche per 680mila qualifiche professionali, ma, in 4 casi su 10, non saranno disponibili sul mercato

Quasi 900mila laureati, altrettanti diplomati e oltre 680mila persone con qualifica professionale troveranno lavoro tra il 2020 e il 2024, chiamati a integrare o sostituire il personale uscente per ragioni di età. Ma proprio per gli indirizzi di formazione e istruzione professionale si prospettano le maggiori difficoltà, visto che, in 4 casi su 10, non saranno disponibili sul mercato. È quanto mostra l’ultima stima di Unioncamere relativa ai fabbisogni occupazionali tra il 2020 e il 2024, elaborata nell’ambito del Sistema informativo Excelsior. Nel quinquennio 2020-2024 i laureati e i diplomati dovrebbero rappresentare nel complesso il 69% del fabbisogno occupazionale – con una quota particolarmente elevata richiesta dal settore pubblico, pari al 92% – mentre il personale con qualifica professionale peserà per il 26% (quasi esclusivamente destinato ai settori privati). Per un ulteriore 5% di fabbisogno di personale non sarebbe necessaria una particolare qualifica o titolo di studio.

I titoli di studio richiesti nel quinquennio 2020-2024

Laureati

Per quanto riguarda i laureati (34% della domanda) tra i principali indirizzi universitari richiesti nel quinquennio 2020-2024 emergono l’indirizzo medico-paramedico, per cui si stima saranno necessari 173mila unità, l’indirizzo economico (119mila unità), ingegneria (117mila unità), insegnamento e formazione (104mila unità comprendendo scienze motorie) e l’area giuridica (88mila unità). Inoltre, confrontando il fabbisogno di laureati richiesto dalle imprese con l’offerta prevista di neo-laureati – senza considerare anche la componente di laureati disoccupati – risulta nel totale una situazione di equilibrio, ma con notevoli differenziazioni scendendo a livello dei singoli indirizzi: si potrebbero così verificare a livello nazionale situazioni di carenza nell’offerta di competenze medico-sanitarie (con 13.500 figure mancanti mediamente ogni anno), come nei diversi ambiti scientifici e dell’ingegneria. Mentre al contrario eccedenze di offerta si potrebbero verificare negli ambiti politico-sociale o linguistico.

Diplomati

Le previsioni relative al fabbisogno di diplomati (35% del totale), ripropongono la preminenza dell’indirizzo amministrativo, con un fabbisogno stimato nel quinquennio di 260mila unità, seguito da industria e artigianato, che richiederà 243mila diplomati (per il 39% nell’indirizzo meccanico e per il 24% nell’elettronica), dai licei (137mila unità), turismo (78mila unità) e socio-sanitario (66mila unità). Per quanto riguarda il confronto domanda e offerta di neo-diplomati, si osserva una situazione di eccesso di offerta per i licei e per l’indirizzo tecnico del turismo, enogastronomia e ospitalità.

Formazione Professionale

Infine, per quanto riguarda la domanda di occupati per gli indirizzi dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), si stima che il fabbisogno si concentrerà in prevalenza negli indirizzi ristorazione (155mila unità), benessere (113mila unità), meccanico (100mila unità), servizi di vendita (64mila unità) e amministrativo segretariale (51mila unità). In generale, il mismatch domanda-offerta per l’istruzione e formazione professionale si presenta eclatante, essendoci un’offerta complessiva in grado di soddisfare solo il 60% della domanda potenziale (fabbisogno medio annuo di 137mila unità contro un’offerta annuale di appena 85mila unità), con situazioni ancora più critiche per gli indirizzi della meccanica, del legno-arredo, della logistica e dell’edilizia.

Il forte incremento previsto per la domanda di profili laureati, da una parte, e di qualifiche professionali dall’altra parte, conferma gli effetti di polarizzazione del mercato del lavoro che conseguono alle grandi trasformazioni in atto, dove sono sempre più necessarie competenze tecnico-scientifiche elevate e capacità digitali. Questo fenomeno sta comportando per i diplomati una riduzione delle opportunità lavorative; i lavoratori senza un titolo universitario hanno una maggiore probabilità di essere impiegati in occupazioni di bassa competenza. In questo contesto diventa fondamentale strutturare adeguatamente l’offerta formativa degli istituti professionali e rafforzare l’intera filiera dell’istruzione tecnica superiore (ITS). Nei paesi con forti sistemi formativi “duali” è stato favorito l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani dotandoli delle competenze chiave che sono immediatamente richieste dalle imprese.

fonte: UnionCamere

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Imprese artigiane: aumentano addetti alle pulizie e tatuatori, in calo muratori e “padroncini”

Imprese artigiane: aumentano addetti alle pulizie e tatuatori, in calo muratori e “padroncini”

Roma, 28 agosto 2020

Tra le artigiane, aumentano le imprese di pulizia e quelle che si occupano di tatuaggi e piercing. Crescono i giardinieri e i parrucchieri ed estetiste. Si riducono invece le imprese artigiane di costruzioni e quelle che si occupano di ristrutturazione, i “padroncini” addetti ai trasporti su strada, gli elettricisti, i falegnami e i meccanici.

Come mostra la fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere sull’evoluzione dei mestieri artigiani negli ultimi 5 anni, il settore, che conta poco meno di 1,3 milioni di imprese, ne ha perse quasi 80mila tra il 2015 e il 2020. Ma alcuni “mestieri” – più vicini a uno stile di vita a cui piace la cura di sé, degli spazi in cui si vive e del verde comunecrescono, raggiungendo anche numeri consistenti.

È il caso delle imprese artigiane degli Altri servizi alla persona, la cui crescita esponenziale (+88,4% pari a 5.382 imprese in più) si deve in gran parte ai tatuatori e agli addetti al piercing (passati da 2.150 di giugno 2015 a oltre 5mila di giugno 2020), ma anche agli incrementi notevoli delle attività di robivecchi (da 151 a 754), di organizzatori di feste e cerimonie (da poco più di mille a 1.700) e di quanti si occupano di cura degli animali (toelettatori, addestratori, dog sitting ecc., che erano meno di 2mila nel 2015, oggi sono quasi 2.700). Balzo in avanti anche per gli addetti alle pulizie, aumentati di 5.600 unità in 5 anni, per i giardinieri (+3.200) e per i parrucchieri ed estetisti: 2.344 le imprese in più nel periodo.

Alcune difficoltà emergono al contrario nel mondo artigiano legato al settore dell’edilizia e delle costruzioni. In 5 anni si sono perse oltre 18.500 imprese artigiane del settore delle costruzioni di edifici residenziali e non residenziali, circa 3.600 attività di piastrellisti ed imbianchini, 3.300 di muratori specializzati nella finitura degli edifici. Sono inoltre 12mila in meno le attività dei “padroncini” legate al trasporto su strada, quasi 5.500 gli elettricisti in meno e circa 4.500 i meccanici per autoveicoli oggi non più attivi.

Un apporto notevole alla crescita della categoria degli Altri servizi alla persona è venuto in questi anni dai giovani: oltre 1.800 delle nuove imprese artigiane attive in questo settore si devono agli under 35. Le donne invece sembrano puntare su ambiti tradizionalmente più vicini al mondo femminile, come ad esempio quello delle imprese di parrucchieri ed estetisti. Gli stranieri, infine, hanno puntato in questi anni su alcuni specifici lavori legati al mondo dell’edilizia.

 

fonte: UnionCamere

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Lavoro: 2,5milioni di lavoratori da sostituire nei prossimi 5 anni. Tra 1,9 e 2,7 milioni il fabbisogno occupazionale complessivo

Lavoro: 2,5milioni di lavoratori da sostituire nei prossimi 5 anni. Tra 1,9 e 2,7 milioni il fabbisogno occupazionale complessivo

Roma, 25 agosto 2020

Tra il 2020 e il 2024 il sistema economico italiano dovrà sostituire oltre 2,5 milioni degli attuali occupati, perché i lavoratori avranno raggiunto l’età di pensionamento o per altre cause.

Questo dato, sommato agli incrementi (o alla diminuzione) dei lavoratori occupati previsti in base ai possibili andamenti annuali del PIL, determinerà un fabbisogno complessivo compreso tra 1,9 e 2,7 milioni di lavoratori.
Lo evidenziano i risultati dell’ultimo aggiornamento (luglio 2020) del modello di previsione dei fabbisogni occupazionali sviluppato nell’ambito del Sistema informativo Excelsior da Unioncamere, prendendo come base due possibili scenari per l’andamento (di espansione o di contrazione) dell’economia: secondo lo scenario A (“base”) la crescita economica potrà generare nel quinquennio 2020-2024, in maniera molto differenziata nei vari settori, un incremento rispetto al 2019 dello stock di occupati di circa 179mila unità, mentre secondo lo scenario B (“avverso”) si prospetterebbe una flessione dello stock di occupati di circa 556mila unità a fine quinquennio.

I fabbisogni occupazionali per il quinquennio 2020-2024

Nel dettaglio, nel quinquennio i settori privati esprimeranno un fabbisogno compreso tra 1,2 e 2 milioni di unità, per lo più determinato dal turnover di personale. La componente pubblica richiederà invece circa 720mila lavoratori, assumendo un peso più significativo rispetto al recente passato.
Il fabbisogno di lavoratori autonomi si collocherà tra 400mila e 600mila unità nel prossimo quinquennio, grazie alla replacement demand che andrà a compensare la contrazione dello stock occupazionale previsto per questa componente.
I lavoratori dipendenti, con una richiesta tra 1,6 e 2,1 milioni di unità tra 2020 e 2024, peseranno sul fabbisogno totale per una quota compresa tra il 77% e l’80% a seconda degli scenari.
A livello di ripartizione territoriale, sarà il Nord Ovest ad avere bisogno della quota maggiore di occupati (609mila/844mila unità), seguito dal Nord Est (492mila/665mila unità), dal Mezzogiorno (500mila/661mila unità), e – in misura minore – dalle regioni del Centro (361mila/527mila unità).

Fabbisogni occupazionali nel biennio 2020-2021

Nell’analisi dei fabbisogni professionali del quinquennio è opportuno distinguere il biennio 2020-2021, in modo da caratterizzare più in dettaglio gli effetti senza precedenti dell’attuale crisi economica che ha colpito in misura diversa i vari settori produttivi, rispetto alle tendenze del triennio 2022-2024 per il quale si ipotizza un rimbalzo dell’economia.
Tra il 2020 e il 2021 i settori privati e la pubblica amministrazione potrebbero esprimere un fabbisogno occupazionale di 272mila-799mila unità. In particolare, sarebbe la componente determinata dalla necessità di sostituzione di addetti in uscita per pensionamento o altre cause, stimata superiore al 1 milione di unità, a riportare in territorio positivo il fabbisogno, visto che nei due anni considerati è attesa una riduzione dello stock di occupati – a seconda dei due scenari considerati – compresa tra le 277mila e le 805mila unità rispetto al 2019 (rispettivamente -1,2% e -3,4%).
Dall’analisi per filiere produttive si rileva che tra il 2020 e il 2021 il maggiore fabbisogno sarà espresso dalla filiera “salute”, con una richiesta che riguarderà un numero di lavoratori che va dalle 223mila alle 241mila unità; seguono gli “altri servizi pubblici e privati”, con una domanda che si collocherà tra 145mila e 170mila occupati, e “formazione e cultura”, che richiederà tra i 152mila e i 169mila professionisti.
Si tratta per lo più di fabbisogni espressi dal comparto pubblico. Infatti, si stima che nel primo biennio di previsione i lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione assumeranno un peso preponderante (con una quota di circa il 46% sul totale fabbisogno nello scenario A), mentre dipendenti privati e lavoratori autonomi presenteranno un’incidenza più ridotta.
Inoltre, nonostante il contributo positivo al fabbisogno da parte della componente di replacement, nel biennio la filiera “commercio e turismo” si caratterizzerà per un valore fortemente negativo (-172mila/-40mila unità). Ciò va interpretato come l’esito di una riduzione dello stock occupazionale medio nel periodo di entità tale da non poter essere compensato dalla componente potenzialmente sostitutiva rappresentata dalla domanda per turnover. Un ragionamento analogo, anche se con valori assoluti molto più bassi, vale per “legno e arredo” (-55mila/-9mila unità) e, per quanto riguarda lo scenario meno favorevole, per “moda” (-55mila/1mila unità), “Finanza e consulenza” (-40mila/43mila unità), “altre filiere industriali” (-33mila/8mila unità), “meccatronica e robotica” (-10.400/19mila unità) e “costruzioni e infrastrutture” (-4mila/43mila unità).

Le prospettive nel triennio 2022-2024

Nel triennio 2022-2024, dopo lo shock epidemico e il primo rimbalzo, si ipotizza che l’economia italiana potrà riprendere un percorso di crescita.
Nel complesso del triennio si stima una crescita dello stock nazionale di occupati di 456mila unità alla fine del 2024 rispetto al 2021. Nel dettaglio, l’aumento riguarderà per lo più i dipendenti privati, con una crescita determinata dall’espansione economica di quasi 355mila occupati (il 77% del totale), mentre per gli indipendenti si prevede un incremento di 80mila unità e per il comparto pubblico di 21mila lavoratori.
Se si considera anche la replacement demand, stimata per oltre 1,4 milioni nel triennio, il fabbisogno occupazionale previsto si avvicina a 1,9 milioni per gli anni 2022-2024.
Si evidenzia per i dipendenti pubblici, caratterizzati in media da una maggiore anzianità, una quota di replacement demand stimata intorno al 94% del totale fabbisogno, a fronte dell’83% per gli indipendenti e del 67% dei dipendenti privati.
L’analisi a livello settoriale indica che “commercio e turismo” – con una richiesta di quasi 425mila unità – sarà la principale filiera per fabbisogno di occupati nel triennio, e a seguire si collocano gli “altri servizi pubblici e privati” e “salute”, con una domanda di 260mila professionisti ciascuno, e “formazione e cultura”, che avrà bisogno di 200mila unità nel triennio.
In particolare, si prevede che solo nella filiera dell’informatica e telecomunicazioni la replacement demand rappresenterà meno del 50% del fabbisogno del triennio, essendo prevista una ulteriore accelerazione della trasformazione digitale proprio per le conseguenze economiche della crisi sanitaria. Un rilevante ostacolo alla crescita di questa filiera sarà però rappresentata dall’elevata difficoltà di reperimento di molte delle figure richieste.

fonte: UnionCamere

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Fase 3: 2 imprese su 5 contano di recuperare entro il 2020

Fase 3: 2 imprese su 5 contano di recuperare entro il 2020

Roma, 07 agosto 2020

L’emergenza non è ancora finita ma le imprese già guardano al domani.

Anche se permane un clima di incertezza, sono 600 mila le aziende che contano di recuperare risultati operativi accettabili entro fine anno. Mentre per ulteriori 580 mila bisognerà aspettare il 2021 per superare questo passaggio difficile.
È quanto risulta da un approfondimento del sistema informativo Excelsior su un universo di 1.380 mila imprese con almeno un dipendente, condotta tra il 25 maggio e il 9 giugno 2020 da Unioncamere in accordo con Anpal, per indagare sugli impatti del lockdown e sulle strategie per i prossimi mesi e i tempi previsti per la ripresa.
Secondo l’indagine soltanto 180 mila imprese (il 13,1% del totale) non ha subito contraccolpi produttivi e perdite economiche significative nel corso del lockdown, a fronte di quasi l’85% delle aziende che non ha ancora potuto assorbire le ripercussioni della crisi.

A presentarsi più preparate a superare le barriere fisiche imposte nella fase del lockdown, sono state le imprese che hanno adottato piani integrati di digitalizzazione. Il 15,3% di queste dichiara di non aver subito perdite nel periodo del lockdown e sembra poter gsperare di recuperare in un momento relativamente meno lontano nel tempo avendo potuto adattare più rapidamente la propria organizzazione ai cambiamenti repentini determinati dalla crisi da Covid-19. Al contrario, l’insufficiente o parziale impegno negli investimenti digitali è un fattore che porta le imprese a valutare tempi di ripresa più lunghi e a riportare maggiori difficoltà nella gestione finanziaria delle fasi dell’emergenza sanitaria.

Aver potuto riprendere le attività immediatamente dopo la fase di più stretto lockdown fa sì che le imprese delle costruzioni mostrino la migliore aspettativa di recuperare tra tutti i principali macro-settori.

Per quasi un sesto degli operatori il superamento delle difficoltà è atteso entro fine luglio e per un ulteriore 9% entro la fine di ottobre, sebbene la quota di quelli che non hanno subito perdite nel periodo di sospensione obbligata è piuttosto contenuta (intorno al 7%).
Situazione più critica invece per le imprese del settore turistico. Ben il 63,1% di queste imprese ritiene di poter tornare a livelli di attività adeguati solo in tempi lunghi – non prima del primo semestre del 2021. E soltanto il 6,2% (la quota più contenuta tra tutti i macro-settori) degli operatori del comparto prevede di recuperare condizioni accettabili entro il mese di ottobre. A pesare in particolare sono gli effetti della perdita del volume di affari per la chiusura delle attività, con tempistiche più lunghe rispetto ad altri settori, e l’inevitabile protrarsi delle limitazioni nei flussi turistici dall’estero, oltre agli effetti depressivi legati al generalizzato calo dei redditi sia sul fronte interno che internazionale.
Una situazione analoga, anche se a tinte meno fosche, è quella prospettata dalle imprese del commercio. Una su due teme infatti che gli effetti dell’emergenza Covid-19 della primavera 2020 possano durare per oltre un anno. A fare la differenza anche in questo caso sono soprattutto l’aumento delle difficoltà economiche per molti nuclei familiari, che ne riducono la capacità di spesa, oltre alle modifiche delle abitudini di spesa dei consumatori a seguito delle misure di contenimento.
Migliori capacità di reazione si evidenziano, invece, per le imprese che operano nei settori della sanità e dei servizi assistenziali privati (con il 63,5% degli operatori che già nel 2020 conta di raggiungere un pieno recupero) e dell’istruzione e dei servizi formativi privati (con il 17,4% delle strutture che traguarda alla fine di ottobre i tempi del recupero).
Nel manifatturiero sono invece i settori della meccanica, dei settori elettrico ed elettronico e della chimica – farmaceutica a contare di poter recuperare e contenere entro la fine del 2020 gli effetti più pesanti delle restrizioni indotte dalla pandemia.

Le imprese del Centro Italia mettono in luce un quadro di attese peggiori sulla capacità di recuperare: 130 mila imprese potrebbero arrivare al 2021 con ancora difficoltà nei fatturati. Ma sono complessivamente quasi 173 mila le imprese del Sud e Isole che prevedono di poter recuperare solo nel lungo periodo. Mentre con riferimento alla base dimensionale, solo le imprese tra 10 e 49 dipendenti esprimono tempistiche sulle prospettive di recupero lievemente migliori della media.

fonte: UnionCamere

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PID

Fase 3: oltre 51 milioni per le PMI con voucher 4.0 in tre anni Pid, assistite già oltre 200mila imprese

Roma, 05 agosto 2020

Oltre 51 milioni attraverso voucher Pid per la digitalizzazione delle imprese.

È quanto mettono a disposizione degli imprenditori le Camere di commercio per il triennio 2020-2022 per finanziare il passaggio al 4.0.
Sale così a oltre 110 milioni la dote complessiva che il sistema camerale ha messo sul piatto per le imprese in poco più di tre anni attraverso i Punti impresa digitale (Pid) realizzati per facilitare la transizione al digitale del tessuto imprenditoriale. Un passaggio oramai necessario per affrontare la sfida della ripartenza dopo la prima fase dell’emergenza Coronavirus. E per questo le Camere stanno lavorando per mettere in campo altre risorse aggiuntive rispetto a quelle già previste per il 2020.

“In questi tre anni, attraverso i Pid, abbiamo aiutato oltre 200mila imprese a scoprire i vantaggi della digitalizzazione supportandole con servizi mirati nell’adozione delle tecnologie abilitanti e dei nuovi modelli di business 4.0”.

È quanto sottolinea il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, che aggiunge

“ spingere sulla digitalizzazione delle imprese e sull’adozione delle tecnologie 4.0 porterebbe un incremento di oltre un punto e mezzo di PIL nel breve termine. Per questo è fondamentale intervenire in maniera massiccia su questo tema a sostegno della ripresa della nostra economia”.

I voucher  Pid potranno essere spesi per l’acquisto di beni e servizi strumentali – inclusi dispositivi e spese di connessione – consulenza e formazione focalizzati sulle competenze e tecnologie digitali in attuazione del Piano Transizione 4.0. E per sostenere le PMI nella difficile fase di emergenza post COVID-19, potranno coprire anche le spese di gestione finalizzate a consentire alle imprese il recupero di liquidità o ad accedere a forme di finanziamento per la realizzazione di progetti di digitalizzazione.
L’impegno dei Pid è stato importante per le imprese anche nel periodo del lockdown: più di 80mila imprenditori hanno seguito tutorial, 4mila hanno partecipato a oltre 100 webinar formativi e avuto accesso ai servizi di assistenza in materia di smartworking e per la riconversione del business sull’online; 1.300 hanno effettuato il test di maturità digitale delle propria impresa (con picchi di crescita ad aprile del 54% rispetto ai mesi precedenti), aiutati dai 200 giovani digital promoter per avere supporto sui motori di ricerca e sulle principali piattaforme di e-commerce.
E per portare a vendere online un numero sempre maggiore di imprese, sono in corso di attivazione accordi con player nazionali e internazionali che gestiscono marketplace per dare la possibilità alle imprese di accedere a condizioni agevolate a nuovi canali di vendita (o di integrare quelli già avviati) compatibili ai mutati contesti di vita e stili di consumo.

Inoltre per intercettare e promuovere casi di successo e buone pratiche di “rinascita digitale”, i PID hanno lanciato la nuova edizione del Bando “Top of the PID” che quest’anno sarà dedicato a individuare progetti di innovazione digitale che possono aiutare le imprese nella ri-partenza economica e, al contempo, favorire la diffusione di innovazioni, idee e nuove opportunità di sviluppo imprenditoriale che possono derivarne.

fonte: UnionCamere

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imprese in calo

Imprese: +20mila tra aprile e giugno (-32% rispetto al 2019)

Il “motore” dell’Azienda-Italia viaggia a basso regime: l’effetto Covid continua a frenare la voglia di fare impresa degli italiani

Azienda Italia in deciso rallentamento ma il bilancio tra aperture e chiusure resta positivo nel secondo trimestre di quest’anno con un aumento di +19.855 unità contro +29.227 del 2019. È il Sud a contribuire a quasi la metà del saldo attivo che comunque mette a segno il peggior risultato dei secondi trimestri dell’ultimo decennio. L’effetto Covid-19 continua dunque a pesare sulla nati-mortalità del sistema imprenditoriale italiano, dopo avere inciso negativamente sull’andamento dei primi tre mesi dell’anno. Tra aprile e giugno prosegue, infatti,l’indebolimento della voglia di fare impresa degli italiani con 57.922 iscrizioni di nuove imprese contro le 92.150 del secondo trimestre 2019, il 37% in meno. Contestualmente frenano, in misura ancora più accentuata, le cancellazioni che si attestano a 38.067 quest’anno rispetto alle 62.923 dell’anno precedente, il 39,5% in meno. Da notare come al bilancio del trimestre abbia contribuito per circa un terzo (il 32,5%) la componente artigiana, che ha chiuso il periodo con un saldo attivo di 6.456 imprese (18.943 le iscrizioni di nuove imprese contro 12.487 cessazioni).
È quanto emerge dall’analisi trimestrale Movimprese, condotta da Unioncamere e InfoCamere, sui dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, disponibile all’indirizzo www.infocamere.it/Movimprese.

Il Bilancio Dei Territori

Il saldo attivo caratterizza tutte le regioni e tutte le aree del paese, con il Sud e Isole in particolare evidenza: le 8.905 imprese in più del Mezzogiorno rappresentano, infatti, il 45% dell’intero saldo nazionale. Il riflesso di questo risultato si ha dalla distribuzione regionale del saldo: il valore più elevato si registra infatti in Campania, che ha chiuso il trimestre con 3.143 imprese in più rispetto al 31 marzo scorso. A seguire ci sono Lazio (+2.386), Lombardia (+1.920) e Puglia (+1.859). Per le imprese artigiane, la regione di elezione nel secondo trimestre dell’anno è stato il Lazio, dove si è registrato il saldo più elevato tra aperture e chiusure: 1.257 unità. In Campania (+914), Lombardia (+570) e Puglia (+562) gli altri risultati migliori.

Il Bilancio Dei Settori

Anche a livello settoriale, si registrano saldi attivi per tutti i macro-comparti a partire dal commercio (+6.291), seguito dalle costruzioni (+5.222) e dai servizi di alloggio e ristorazione (+3.425). In termini percentuali, l’avanzamento più sensibile (+1,4% su base trimestrale) si registra nei servizi alle imprese (2.944 le imprese in più), seguiti dalle attività professionali, scientifiche e tecniche (+1,3% l’incremento nel trimestre, pari a 2.828 imprese in più) e dalle attività finanziarie e assicurative (+1,1% corrispondente ad un aumento di 1.366 unità).

Le Forme Giuridiche

Delle circa 20mila imprese in più alla fine del trimestre, il 65% circa ha la forma dell’impresa individuale (12.972 unità). Rispetto ai periodi più recenti, l’analisi della nati-mortalità delle imprese per forme giuridiche segnala nel secondo trimestre 2020 un rallentamento della dinamica delle società di capitale. Pur aumentando di 7.938 unità, il loro tasso di crescita trimestrale (+0,45%) appare infatti più che dimezzato rispetto allo stesso periodo del 2019, quando fu pari all’1,03%. Unica forma giuridica in arretramento, nel trimestre aprile e giugno, è quella delle società di persone (-1.230 unità, pari ad una riduzione dello 0,13% dello stock di imprese di questo tipo).

fonte: UnionCamere

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Turismo di prossimità per l'estate 2020

Turismo: un italiano su due non andrà in vacanza.

L’86% del turismo volge verso l’Italia. La Sicilia “regina” dell’estate, penalizzata la Lombardia

Nel 2020 calano di oltre il 40% gli italiani che partiranno per le vacanze rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un italiano su due non andrà in vacanza. Dei 24 milioni di persone che si muoveranno, l’86% rimarrà in Italia e solo il 4,8% andrà all’estero, contro il 26% del 2019. È quanto mostra l’indagine sull’impatto dell’emergenza Covid realizzata da Isnart – Unioncamere su un campione rappresentativo di italiani intervistati nelle scorse settimane.
Tra coloro che tra luglio e settembre si recheranno in villeggiatura, il 76,5% soggiornerà presso una località di mare.
Non sembra aver centrato l’obiettivo il bonus vacanze: solo il 7,4% ne ha usufruito, mentre il 78,3%, ovvero quasi 19 milioni di italiani, dichiara di non utilizzarlo e un 14,3% è ancora indeciso.

Turismo di prossimità

Complici il timore del virus, la crisi economica e la mancanza di lunghi periodi di ferie, l’estate 2020 si conferma all’insegna delle vacanze di prossimità. I turisti italiani, se non scelgono la propria regione, si spostano essenzialmente nelle regioni limitrofe: in Sicilia e Sardegna, per esempio, l’83 e il 70 per cento di coloro che andranno in vacanza, lo faranno nella propria terra.
A livello locale la regione che si preannuncia come la regina di questa particolare stagione è la Sicilia, pronta ad ospitare quasi 3 milioni di turisti, registrando così un aumento rispetto allo scorso anno quando l’isola era stata scelta da circa 2 milioni e 700 mila turisti.
Seguono la Puglia e la Campania, che registrano però un saldo negativo rispetto al 2019, con, rispettivamente, -10% e -22% di vacanzieri. Anche per la Sardegna bilancio negativo, con un – 14% di turisti. Tra i cali più significativi si segnala il dato della Lombardia con addirittura 800mila turisti in meno rispetto al 2019. Non va meglio al Lazio (saldo negativo di 780mila) alle Marche (660mila) all’Emilia Romagna (640mila turisti). La paura dei contagi e una situazione economica in sofferenza sono le due principali motivazioni – espresse entrambe dal 30% degli intervistati – che terranno a casa quest’estate 21 milioni di italiani.
Dalla ricerca emerge che il 31% dei turisti dichiara di essere stato influenzato dalla situazione sanitaria legata al Covid in merito alla scelta della propria vacanza. Ne è una conferma il fatto che gli italiani sembrano premiare, rispetto al passato, quelle regioni e quelle zone del Paese in cui il virus ha avuto un impatto minore o che offrono aree interne scarsamente popolate in cui il distanziamento è più facilmente garantito. È il caso di Umbria, Abruzzo e Friuli che vedono importanti aumenti del numero di turisti e del Molise, che addirittura raddoppia quelli registrati nel 2019.
Sulla stessa linea si inserisce la scelta della tipologia di struttura ricettiva e il mezzo utilizzato per raggiungere il luogo di vacanza: oltre 10 milioni di italiani – più del 40% di coloro che partiranno –opta per vacanze in appartamento, mentre per raggiungere la propria destinazione il 62% degli intervistati utilizzerà l’auto staccando di molti punti la percentuale di coloro che si sposteranno in treno o in aereo, che si attestano entrambe al 10%. Dati questi che indicano una preferenza per vacanze che consentano di evitare, per quanto possibile, la condivisione degli spazi.

Turismo sportivo

Infine, la particolare situazione di questa estate ha orientato la scelta anche del tipo di vacanza. Il lungo stop dell’attività fisica all’aria aperta impedita durante il lockdown, fa registrare come principale motivazione nella scelta la possibilità di praticare sport, preferenza espressa dal 35% del campione, seguito dal 28,5% che sceglie la vacanza per stare a contatto con la natura. Tra gli sport preferiti, primo fra tutti è il trekking – col 38% – seguito dalla bicicletta con il 26%.

“In un momento così delicato per il turismo del Paese, Isnart, con Unioncamere, ha deciso di monitorare il turismo attraverso una serie di indagini periodiche per fornire agli operatori strumenti di conoscenza utili a decidere come orientare le proprie scelte.
Queste indagini, poi, nel breve periodo verranno utilizzate dal nostro osservatorio Big Data per costruire indagini predittive sulle tendenze, accompagnando quindi in maniera ancora più qualificata il sistema turismo. I risultati di quest’ultima indagine ci offrono diversi spunti di riflessione, come ad esempio, quanto sta crescendo la segmentazione del mercato, con le scelte e i comportamenti dei turisti che dimostrano di poter fare la differenza. È il motivo per cui abbiamo deciso di dedicare un focus della ricerca ai fenomeni turistici delle “tribù”, un target di turisti che hanno riti comuni, propri linguaggi e proprie regole comportamentali. I risultati di questa indagine ci parlano, tra l’altro, della crescita di chi si orienta verso una vacanza all’insegna dello sport, che significa aumento del numero degli appartenenti alla tribù del turismo attivo, cui i territori devono saper offrire risposte in termini di servizi e prodotti adeguati. Serve, allora, una nuova attenzione a questo fenomeno, sapendo che dobbiamo essere pronti a cambiare l’offerta dei territori e delle nostre destinazioni nazionali verso questi nuovi turismi e le loro esigenze”

commenta Roberto Di Vincenzo, Presidente ISNART.

“I dati di Isnart-Unioncamere parlano delle difficoltà del comparto ma anche di un nuovo protagonismo dei territori che oggi sono in competizione tra loro per poter intercettare la domanda turistica, quasi tutta italiana, che sarà al centro dell’estate 2020. Gli Enti regionali sono chiamati a supportare e a dare spessore all’offerta del sistema turistico imprenditoriale in un momento così difficile: la costruzione di una collaborazione tra pubblico e privato potrà consentire, allora, di riorganizzare l’offerta turistica attraverso un approccio multidisciplinare, sviluppando nuove progettualità sostenibili e avviando programmi di destagionalizzazione dei flussi turistici. Le Regioni si stanno già attivando in questa direzione e ancor più potranno fare se verrà accolta la nostra richiesta di costituzione di un nuovo Fondo Europeo speciale per il turismo (“FEST”), articolato sul modello “FESR” e dotato di adeguate risorse da attivarsi nella Programmazione 2021-2027. Su questo un ruolo importante potrà essere esercitato dalla collaborazione tra Enti che hanno competenze sul turismo. Parlo dell’interazione tra Regioni e Camere di commercio, ad esempio, perché serve una forte incisività dell’azione territoriale per permettere alle nostre imprese e, quindi, alle nostre destinazioni turistiche, di ripartire”

– conclude Mauro Febbo, coordinatore della Commissione speciale turismo della Conferenza delle Regioni e Province Autonome e Assessore Turismo della Regione Abruzzo.

fonte: UnionCamere

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